Miguel Martínez Questo articolo è uscito per la prima volta sul numero 39 - maggio-giugno 2003 - della rivista Praxis (c.p. 162, 06034 Foligno (PG)).
Una prima sommaria versione di questo articolo, apparsa su Haramlik, mi ha guadagnato questo commento da parte di un Moderato che scrive su un blog neoconservatore:
Il 20 giugno del 2004, un commando della Jama'at
al-tawhid wa'l-Jihad diffuse un video in cui si vedeva la decapitazione di
un ostaggio sudcoreano, Kim Sun-Il.
Le motivazioni erano politiche; il messaggio che
accompagnava il video faceva pochi riferimenti religiosi. È difficile colpire
direttamente l'esercito più potente della storia umana. Ma quell'immenso
caimano si muove circondato da una galassia di piccoli piranha in subappalto.
Il piranha cerca semplicemente di sopravvivere; non è colpa sua se Dio lo ha
fatto carnivoro. Quindi bisogna sospendere il giudizio morale sui singoli
piranha, una schiera che va da cuochi
bengalesi e traduttori sudanesi a torturatori professionisti con due passaporti
in tasca. Tutti fondamentali per la vittoria del caimano, ma molto meno
corazzati.
Se si fa capire ai piranha che il gioco non vale la
candela, si può creare il vuoto attorno al caimano.
Devono aver ragionato così i guerriglieri che hanno
scelto di diffondere nel mondo il filmato della decapitazione.
Nel caso di Kim Sun-Il, c'è però un altro elemento.
Quasi subito, i media hanno cominciato a sottolineare il fatto che era di
religione cristiana. Il titolista dell'Unità del 24 giugno lo
chiamava addirittura un "cattolico".
Il fatto sarebbe di per sé irrilevante: "arrestato
rapinatore cattolico bavarese"; "scienziato russo ortodosso scopre un
nuovo vaccino"...
In realtà, nulla fa pensare che Kim Sun-Il sia stato
messo a morte per motivi religiosi. Ai guerriglieri iracheni la fede religiosa
dei loro nemici importa poco. Lo stesso Moqtada al-Sadr aveva dichiarato che
gli operatori umanitari cristiani erano benvenuti in Iraq, purché non
collaborassero con le forze di occupazione.
L'8 aprile, un gruppo sconosciuto aveva sequestrato
sette sudcoreani in viaggio dalla Giordania verso Baghdad. Furono interrogati;
e quando si scoprì che erano ministri del Korean Council of Evangelical
Churches, e non paramilitari, furono nutriti e rilasciati.
Diventa quindi interessante capire perché si sia
voluto sottolineare l’affiliazione religiosa di Kim Sun-Il. Infatti, come ci
insegna Freud, i lapsus sono rivelatori.
Prima di tutto, c'è la meraviglia del commentatore
europeo: ma come, il cristianesimo è roba nostra, che ci fa un cristiano in
Corea? Già questo la dice lunga sulla forza della falsa identificazione tra
"Occidente" e "cristianesimo".
Da questa constatazione trapela non poco orgoglio: il
nostro modello è talmente bello, da diffondersi persino nel misterioso Estremo
Oriente. Anzi, il giovane coreano è stato ucciso perché ha scelto l'Occidente.
È un testimone del nostro mondo; e "testimone" è la traduzione
italiana del termine greco che ha dato origine alla nostra parola
"martire".
Il lettore italiano (magari laico e bestemmiatore) si
identifica con quel cristiano coreano, un po' come il lettore campano si
commuoverebbe a leggere un titolo come "candidato alla presidenza USA
aveva la trisnonna di Avellino".
Allo stesso tempo, la definizione di
"cristiano" si contrappone a "musulmano". Qui bisogna
ricordare che l'appello alla spiegazione religiosa o ideologica dei conflitti
costituisce spesso un eccellente rifugio per i mascalzoni. Quando il
latifondista brasiliano caccia il contadino, e il contadino si ribella, il latifondista
evita di entrare nei dettagli di quello che è successo, e attribuisce la colpa
all'ideologia di Karl Marx o a qualche inviato di Fidel Castro che avrebbe fatto il
lavaggio del cervello a un contadino troppo stupido per ribellarsi da solo.
Io invado l'Iraq e mi approprio delle sue risorse. Se
qualcuno si ribella, di chi è la colpa? Ma del Corano, chiaro, no?
“Tessitori di tende”
Eppure, è ugualmente interessante chiederci, che ci
stavano a fare, prima i sette ministri religiosi, e poi il povero Kim Sun-Il,
in un paese decisamente scomodo come l'Iraq?
Ufficialmente, il "cristiano coreano"
lavorava per una ditta coreana in subappalto. Insomma, uno di quei lavori ben
pagati, in cui ti assumi tutti i rischi. Come fare lo stuntman del cinema o il
trapezista del circo.
In realtà, la faccenda è più complessa. Tutto fa
pensare che Kim Sun-Il fosse un tentmaker. Si tratta di uno degli
innumerevoli slogan che gli Stati Uniti riescono a produrre per dare un nome
alle cose. Letteralmente "tessitore di tende", si tratta del mestiere
che faceva San Paolo mentre predicava. La definizione ufficiale è:
Insomma, il tentmaker va in un paese
straniero, in apparenza per fare un lavoro, in realtà per fare proseliti; anzi,
lavora spesso per ditte che appartengono ad altri evangelici.
Sembra che Kim Sun-Il fosse uno studente di teologia,
che a un certo punto aveva cambiato facoltà per dedicarsi a imparare l'arabo,
allo scopo di svolgere lavoro missionario in Medio Oriente.
Ma i media hanno taciuto completamente questo aspetto
della personalità di Kim Sun-Il. Lasciandoci con un'impressione doppiamente
falsa: che fosse un normale lavoratore, ma ucciso per la sua fede
cristiana.
Lo sciamanocristianesimo aziendale
Qualche mio conoscente ha cercato di scusare
l'atteggiamento dei media: avrebbero parlato della sua religione semplicemente
perché un coreano cristiano sarebbe una specie di mosca bianca.
Tutt’altro. Nel 1992, il 40,7% dei coreani
apparteneva a qualche chiesa cristiana, anche se bisogna intendersi su cosa
significhi: cattolici ed evangelici usano addirittura due parole diverse per
nominare Dio.
Le chiese evangeliche coreane mettono insieme due
filoni che provengono da un paese che si trova ancora più a Oriente del loro,
gli Stati Uniti.
Il primo filone è la teologia dell’Apocalisse,
l'idea del prossimo avvento di un regno terreno governato da Gesù Cristo in
persona, in cui gli eletti godranno per mille anni di perfetta salute e di
dominio sul prossimo, dopo il grande massacro di Armageddon.
Il secondo è la prassi pentecostale: “io sono
salvato, lo Spirito agisce dentro di me”. Lo Spirito agisce in due modi. Da una
parte, un'esplosione di urli, risa, parole sconnesse e la coreanissima allelujarobica,
danze furiose al ritmo di un rock assordante. Dall'altra, la conquista della
ricchezza materiale, la teologia di Health and Wealth, salute e
prosperità. In questo c'è un non detto molto magico. La religione del
capitalismo non poteva essere diversa: se io credo in Dio, ottengo la
salute, se io credo nel Prodotto dell'Azienda, ottengo il successo.
Curiosamente,
due caratteristiche della società coreana si adattano perfettamente alla
mentalità evangelica/pentecostale - lo sciamanesimo e l'aziendalismo
confuciano.
Lo sciamanesimo, nella pratica quotidiana, è la
ricerca del bok, guarigione e benessere tramite la scacciata di demoni
malvagi. Il fondamentalismo protestante coreano coglie in pieno questo spirito,
promettendo guarigioni miracolose, esorcismi e successo economico: non a caso,
si diffonde proprio nel periodo di massima espansione dell’economia nazionale.
Ma lo sciamanocapitalismo individuale viene
integrato in un quadro molto più ampio, dove troviamo insieme la militarizzazione
di matrice giapponese – dove ognuno è un ingranaggio nella grande macchina
della predicazione - e le tecniche di management statunitensi -
pubblicità di massa e su misura e sfruttamento di ogni opportunità.
Lo sciamanocapitalismo coreano convive perfettamente
con l’imperialismo americano.
Paul David Yonggi Cho, che si vanta di essere il
pastore della "chiesa più grande del mondo", la Yoido Full Gospel
Church, e che è anche presidente della lega mondiale delle Assemblee di Dio
e promotore di un quotidiano che vende 700.000 copie, si è recato il 4 aprile
del 2001 negli Stati Uniti per incontrare un vecchio amico di suo padre, il
ministro della giustizia statunitense, John Ashcroft, il futuro padre del lager
di Guantanamo. Entrambi erano figli di predicatori professionisti delle
Assemblee di Dio.
Incontro tra Paul David Yonggi Cho e John Ashcroft Non c’è religione neutrale I media ogni giorno ci ricordano che l'Islam non è semplicemente un'opinione personale, ma è anche politica e sociologia. Dimenticano però di dirci che lo stesso vale per il fondamentalismo evangelico. Il tipo di religiosità che abbiamo visto non è neutrale. Combatte una guerra per imporre non tanto Gesù, che può essere elasticamente tirato di qua e di là senza grandi difficoltà, ma per imporre una visione del mondo che coincide con una certa economia e un certo regime politico. Questa religiosità chiama se stessa "cristiana". "Cristianesimo" è una parola ambigua: integralisti cattolici e fondamentalisti evangelici hanno entrambe ragione nel sostenere che le loro sono due religioni completamente diverse: per i loro “fratelli cristiani” americani e coreani, i cattolici sono destinati a finire all’inferno.
Se la chiesa cattolica è un'antichissima istituzione,
con un'immensa coorte di sacerdoti ufficialmente celibi, concentrata
sull'ammirazione senza riserve per il Papa, la religione americana (con la sua
propaggine coreana) invece è uno spettacolo in cui i credenti stessi sono
attori, in cui essi stessi affittano e pagano animatori per farli provare
emozioni sconvolgenti, legate soprattutto al mito di Armageddon, del Gesù
maschio e guerriero. Dove ogni traccia di ritualità, ogni eco di tradizione,
viene spazzata via, esattamente come fa il capitalismo annientatore.
Nella “Resistant Belt” I fondamentalisti americani parlano spesso della Finestra 10/40, l’area tra i dieci e i quaranta gradi a nord dell’Equatore, dall’Africa all’Asia Orientale. Si tratta del mercato del futuro, tanto per gli imperialisti quanto per gli evangelizzatori: una martellante pubblicità ricorda ai credenti che quella zona è abitata da “miliardi di anime spiritualmente affamate”, musulmani, induisti e buddisti. Con una metafora che non mi dispiace, molti la chiamano la “Resistant Belt”, la fascia di resistenza al dominio tanto economico-militare quanto spirituale. In questa fascia, i coreani hanno assunto il ruolo di testa di ponte del proselitismo evangelico. In attesa che si apra lo sterminato mercato umano della Cina, si esercitano nel mondo islamico, e in particolare, come abbiamo visto, in Iraq. Al seguito ovviamente dell’esercito americano, cui si rivolge invece l’organizzazione Operation Reveille, che cerca di trasformare i soldati americani nel mondo in missionari. Spiega il loro sito web:
“La sicurezza è la principale esportazione americana. Senza la sicurezza, nulla si può muovere, né la carne di manzo né la tecnologia né la lingua né le idee. Per rendere il mondo sicuro per il commercio e la democrazia, oltre 360,000 americani in divisa sono stanziati oltremare. La maggior parte di loro si recano in luoghi in cui il Vangelo non è mai arrivato prima, o dove è stato capito in maniera sbagliata da secoli”.
Uno dei luoghi in cui il Vangelo è stato “capito in
maniera sbagliata” è ovviamente il Medio Oriente, la culla stessa del
cristianesimo. Il soldato del Kansas ne sa di più, per definizione, degli
ultimi monaci della Grande Lavra di Mar Saba in Palestina.
I cristiani più scomodi del mondo I cristiani nativi del Medio Oriente non hanno nulla a che vedere con i marines evangelizzatori o con i predicatori coreani, ma loro resteranno sul posto quando l'ultimo coreano sarà andato via. E grazie alla criminale confusione tra cristianesimo e imperialismo, saranno i capri espiatori a portata di mano per molte vittime del dominio imperiale. Come dimostra William Dalrymple nel suo fondamentale libro, Dalla montagna sacra (Milano, BUR Saggi, 2002), le comunità cristiane del Medio Oriente, con la loro stessa esistenza, smascherano la menzogna dello scontro di civiltà: l'equazione "cristianesimo = Occidente" che cerca di far scomparire le radici orientali del cristianesimo. Radici che erano solidamente piantate quindici secoli prima di Lepanto, e diciassette prima dei revivalist americani... Radici che si sono mantenute attraverso quattordici secoli di dominio islamico: all’inizio del Novecento, la metà della popolazione della capitale del Califfato Ottomano era costituita da cristiani (e il 40% di quella di Baghdad da ebrei) e la Siria era governata da un cristiano. Per vedere distrutte le chiese ortodosse del Kosovo, abbiamo dovuto attendere l’arrivo della NATO. Pochi artisti hanno saputo cogliere lo spirito del cristianesimo orientale come Nicholas Roerich Sta di fatto che il Medio Oriente ai tempi degli ultimi sultani era una società pluralista in una maniera semplicemente inconcepibile in Europa, con una quantità di stili di vita, di lingue, di religioni e di sottogruppi religiosi di ogni tipo. La spiegazione non sta tanto nella domanda astratta – e quindi insensata – se l’Islam sia “tollerante” o meno. Ogni generalizzazione è sospetta, ma appunto generalizzando possiamo dire che tutte le comunità del Medio Oriente sono caratterizzate da una netta distinzione tra spazi interni e rapporti esterni, come si vede nella stessa struttura tradizionale delle case. I gruppi familiari, religiosi, linguistici, di mestiere o di clan tendono a vivere una vita piuttosto chiusa nel loro privato: non a caso l’Occidente prova un’ossessione morbosa e invasiva per il mitico harem e per il foulard o "velo islamico" che nasconde i capelli delle donne. Allo stesso tempo, le comunità tradizionali del Medio Oriente tendono a rispettarsi a vicenda, dividendosi compiti e territori. I loro conflitti, che ovviamente esistono, si risolvono in genere senza l’eliminazione dell’altra parte. Chiaramente la coesistenza di tante comunità ha molte motivazioni. Comunque queste motivazioni si sono manifestate attraverso un meccanismo semplice. Ebrei, maroniti, nestoriani, siro-ortodossi, copti, mandei, aleviti, assiri, sciiti, sunniti, yazidi, caldei, drusi e tanti altri potevano interagire pubblicamente perché ponevano e rispettavano un confine rigoroso: l’interferenza nella vita privata, compresa la religione, che funge anche da collante per il rapporto familiare e di gruppo.
L’aggressione imperialista sconvolge proprio questo
equilibrio. Mette a nudo i corpi, come ad Abu Ghraib; e getta le anime degli
uomini sul mercato. La catastrofe per le comunità non islamiche non inizia con
una riscossa islamica, ma con la violenza esterna. Il suo punto di avvio è
proprio la cosiddetta laicizzazione della Turchia, che sostituisce il culto
della nazione omogenea al mosaico ottomano. Il sionismo distrugge le antiche
comunità ebraiche, ma colpisce a morte anche il cristianesimo nel suo stesso
luogo di nascita.
Monastero del Monte Athos, cuore del cristianesimo orientale e ottomano “Scontro di civiltà”
Lo “scontro di civiltà", una volta dichiarato dall’Occidente, genera risposte simmetriche nel mondo islamico, che danneggiano le comunità cristiane ed ebraiche del Medio Oriente. Ma ai cristianisti (i teorici dell'"Occidente cristiano"), ai sionisti e agli occidentalisti in generale, l’annientamento del cristianesimo orientale risolve un serio problema, perché permette di fingere che lo scontro non sia tra oppressori e oppressi, ma tra "civiltà occidentale" e "fanatismo islamico". Ed ecco che ogni provocazione, ogni confusione tra "cristianesimo" e invasione/oppressione serve per accelerare questo processo. Le invasioni non sono solo materiali. Esiste un nesso inscindibile tra gli aerei che trasformano le case in profondi crateri, il proselitismo industrializzato dei coreani, la privatizzazione e conseguente svendita dell’economia irachena: la violenza non è solo armata, e il dominio si esercita su tutti i piani contemporaneamente.
Una vera resistenza alla guerra, che non sia solo
un vago pacifismo che rifiuta le armi, deve prendere in considerazione tutte le
forme di aggressione.
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