Per agevolare la lettura, questo articolo di Costanzo Preve  è stato diviso in sette parti, più un'introduzione.
All'introduzione
Alla parte precedente
 
Alla parte successiva
Mentre sono in molti a sostenere che il fascismo è un fenomeno storico al 
  di là della dicotomia sinistra\destra, non conosco nessuno che sostenga 
  seriamente che anche il comunismo è un fenomeno al di là di questa dicotomia. 
  Che il comunismo sia stato un fenomeno di sinistra sembra un’ovvietà assoluta. 
  Ma io ci andrei piano. Il comunismo dei Fronti Popolari, e cioè dopo il 1936 
  ed ancor più dopo il 1945, è indubbiamente un fenomeno di sinistra. Ma il 
  comunismo che diventa stato, e più esattamente stato-partito, finisce con 
  l’assumere anche altre tradizioni. La mummificazione e l’adorazione della 
  mummia di Lenin in URSS non è affatto un fenomeno di sinistra, ma un fenomeno 
  di culto religioso popolare. Il culto della personalità di Kim il Sung in 
  Corea e di Mao Tze-Tung in Cina non è assolutamente di sinistra, ma è di 
  origine confuciana (anche se secondo alcuni maoisti cinesi era piuttosto di 
  origine legista). 
La persecuzione degli omosessuali a Cuba non è sicuramente 
  di sinistra, ma è ispirata al machismo sudamericano. Il nazionalismo di 
  Ceausescu in Romania non era assolutamente di sinistra. Potrei continuare a 
  lungo (fino al ripescaggio della tradizione nazionale russa fatto da Stalin 
  dopo il 1929), ma non mi interessa in questa sede polemizzare 
  retrospettivamente contro il comunismo, quanto far notare un’importante 
  elemento storicamente trascurato. Il comunismo, infatti, quando si trasforma 
  da affabulazione utopica in potere politico strutturato, deve necessariamente 
  sorpassare i confini ristretti della sinistra (ed ovviamente anche della 
  destra) per aderire alle tradizioni nazionali e popolari di lunga durata, che 
  se ne infischiano ovviamente della recente dicotomia fra sinistra e destra. 
  
  
 
 

Poster cinese che incita a seguire l'esempio di Marx,
 padre di un'unica bambina
  
  
  
  
  
  Gli anni fra il 1945 ed il 1975, il trentennio dorato di cui parla Erich 
  Hobsbawm nel suo "Secolo Breve", sono stati anche gli anni d’oro della 
  contrapposizione dicotomica tra sinistra e destra. La polarità ha strutturato 
  in questo trentennio, almeno in Europa, forze politiche, passioni collettive, 
  programmi alternativi, identità ed appartenenze durature. Non è un caso che 
  coloro che si sono formati in questo trentennio sono anche i più restii ad 
  abbandonare questa dicotomia, per il fatto che essa struttura non solo il loro 
  universo simbolico, ma la loro ragione di vita. In Italia questo trentennio 
  vede attizzare la guerra civile simulata (e non solo) fra fascisti ed 
  antifascisti, guerra civile di cui approfitta il robusto estremismo di centro 
  democristiano. 
La permanenza di questa dicotomia ormai ineffettuale e 
  stupefacente, se pensiamo che la modernizzazione innescatasi economicamente 
  dopo il 1958 la svuotava in realtà di ogni vero significato politico. 
Ma 
  questa guerra di posizione era dovuta proprio al blocco del sistema politico, 
  che mascherava la sua staticità e la sua grande stabilità con un’apparenza 
  cinematografica di guerra civile simulata fra camicie rosse e camicie nere. 
  Non parlo qui dei servizi segreti e della stagione degli attentati, in quanto 
  considero quelle bombe come bombe di centro, e non come bombe figlie della 
  dicotomia. Ma certo questa "guerra dei trent’anni" sembrerà curiosa ai nostri 
  posteri, come del resto sembra già curiosa ai nostri ricordi. 
  
  
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