16. Chiariamo bene i termini per non equivocare. Con il termine di "maoismo occidentale" o di "maoismo europeo" voglio subito dire che cosa sostanzialmente non intendo. Non intendo le testimonianze simpatizzanti o deluse sulla Cina e sui cinesi da parte di intellettuali e sinologi europei (Edoarda Masi, Claude Broyelle, eccetera). Leggendo le loro testimonianze autobiografiche si impara moltissimo, ma questo non è il maoismo europeo. Non intendo neppure la formazione e la storia dei piccoli partiti marxisti leninisti e delle loro pittoresche scissioni a catena (cfr. R. Niccolai, Quando la Cina era vicina, BFS-CDP, Pisa - Pistoia 1998 e F. Ottaviano, , Rubettino, Messina 1993). Non intendo questo perché la radice storica fondamentale della genesi dei piccoli partiti marxisti-leninisti (come il PCdI di Dinucci del 1965) sta in una scissione nostalgica staliniana del partito di Palmiro Togliatti, in cui i cinesi sono di fatto solo un pretesto esotico. Questa è almeno la mia opinione. Non intendo neppure fenomeni di tipo populistico come il gruppo Servire il Popolo di Aldo Brandirali, in cui Mao è solo un soprammobile come lo erano per i ricchi i vasi Ming, dal momento che questo maoismo populistico che organizza matrimoni proletari ed interviene sul numero di coiti consigliati ai proletari perché concilino l'amore verso il coniuge con la partecipazione ai picchetti mattutini non fa parte della storia del maoismo propriamente detto, ma del cattocomunismo italiano (e francese). Lo sbocco di Aldo Brandirali prima in Comunione e Liberazione e poi nella politica professionale berlusconiana non deve stupire, così come non deve stupire lo sbocco di Adriano Sofri nel sionismo e nell'interventismo militare imperialistico più feroce. Chi se ne stupisce, e limita tutto ai dati psicologici secondari della corruzione e della vanità personali, mostra di non capire assolutamente il significato di "cultura politica", qualcosa che ha lunga durata e radici profondissime, ed è perciò infinitamente più importante delle contorsioni tattiche irrilevanti della cosiddetta "linea politica", la sola che interessa ossessivamente chi fa politica di professione.
17. Avendo detto che cosa non intendo, dico ora che cosa intendo per maoismo occidentale ed europeo. Intendo un movimento di riforma teorica complessiva del marxismo e del leninismo, che si sviluppa a partire dagli anni Sessanta in Europa, e che tende ad esaurirsi a partire dai primi anni Ottanta. Questo movimento non può essere compreso se non nel suo contesto polemico, cioè nel panorama conflittuale di posizioni contemporanee. In estrema sintesi, queste posizioni conflittuali sono sostanzialmente tre, il comunismo tradizionale, il trotzkismo e l'operaismo. La storia teorica del maoismo è dunque anche e soprattutto una "storia conflittuale", assolutamente incomprensibile senza la conoscenza delle altre tre polarità teoriche indicate. Se la filosofia, come scrisse a suo tempo Kant, è un Kampfplatz (campo di battaglia), ancor più ovviamente lo è l'ideologia ed il confronto ideologico. Esaminerò allora in modo contrastivo le tre posizioni indicate, e ricorderò poi quelli che sono stati a mio avviso (ma solo in Italia ed in Francia) i due principali teorici "maoisti occidentali", Charles Bettelheim e Gianfranco La Grassa.
18. Sorto all'inizio degli anni Sessanta sull'onda della rottura politica fra Cina ed URSS, il movimento marxista-leninista diventò subito una corrente internazionale. Ma le "fusioni fredde" non riescono in politica, e questo movimento non riuscì a decollare mai come movimento di massa (con la sola parziale eccezione dell'India e di alcune altre realtà asiatiche). In Europa esso rimase sempre marginale, e comunque sempre molto più minoritario dei partiti comunisti, sia quelli a "filosovietismo duro" (Francia, Grecia), sia quelli a "filosovietismo molle" (Italia, Spagna). Questo non deve affatto stupire. Il movimento marxista-leninista era un movimento dotato di una ideologia fortemente rivoluzionaria, ma partiva da un presupposto sbagliato, e cioè che il suo soggetto sociale di riferimento privilegiato, la classe operaia e proletaria europea, fosse appunto rivoluzionaria in senso marxista e leninista. In modo molto più saggio invece questa classe sapeva benissimo di non essere capace di egemonia complessiva sull'intera società, e altrettanto saggiamente delegava la gestione dei propri miglioramenti sociali a degli apparati politici e sindacali laburisti (in Inghilterra), socialdemocratici (in Germania Occidentale e nei paesi scandinavi), socialisti (in Francia) e comunisti (in Italia). Visto con il "senno del poi" del 2002 tutto ciò è addirittura evidente. Era molto meno evidente, invece, la corretta comprensione della natura non solo politica ma anche storica di questi apparati politici professionali, indipendentemente dall'elemento irrilevante della loro ideologia di copertura, legittimazione e mascheramento di tipo laburista, socialdemocratico, socialista e comunista.
Il caso dell'Italia è molto interessante. Nella retorica dei gruppi marxisti-leninisti degli anni Sessanta il PCI (poi PDS e DS dopo la riconversione produttiva della ditta) era visto come partito opportunista, revisionista, interclassista, partito dei bottegai, delle cooperative tosco-emiliane, della piccola borghesia umanistica, eccetera. A mia conoscenza, soltanto il maoista italiano Gianfranco La Grassa, in alcuni contributi usciti sulla rivista "Che Fare" dei primi anni Settanta, si avvicinò di più alla realtà. Secondo La Grassa il PCI di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, apparentemente il partito del "blocco storico" gramsciano fra classe operaia e ceti medi progressivi, era in realtà un potenziale partito di rappresentanza e di gestione degli interessi complessivi del grande capitale. A quei tempi questa tesi poteva sembrare esagerata ed estremistica. Se invece ritorniamo su queste tesi con il "senno del poi", sapendo che cosa sono stati negli anni Novanta i DS, l'Ulivo, D'Alema, Fassino, eccetera, allora la tesi di La Grassa ci sembrerà meno follemente estremistica e molto più sobria e realistica di quanto allora poteva sembrare.
Ho voluto qui ricordare questo piccolissimo episodio ideologico dei primi anni Settanta per evidenziare come era già possibile allora giungere alla conclusione che gli apparati formalmente "comunisti", una volta cambiati "di colore", non si sarebbero mai per così dire "fermati a metà strada", ma avrebbero subito una metamorfosi di 180° in direzione di una classe politica professionale complessiva "di servizio" degli interessi capitalistici ed imperialistici complessivi. In proposito la vera "sindone", cioè la vera icona visiva di questa metamorfosi resta a mio avviso il cinico ghigno di sufficienza di Massimo D'Alema nel 1999 quando rese possibile i bombardamenti americani sulla Jugoslavia concedendo l'uso delle basi aeree. La stessa persona, lo si noti bene, che spinse la propria faccia tosta nell'andare alla marcia per la pace Perugia - Assisi circondato da compagni di base belanti e pecoreschi che lo supplicavano di "dire qualcosa di sinistra".
Poco da dire. Siamo il paese della Commedia dell'Arte, e della faccia tosta dei grandi improvvisatori.
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