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ROMA – Queste riportate sotto sono le pagine inedite di un diario che
Pietro De Marco ha scritto prima, durante e dopo la guerra in Iraq. De
Marco è sociologo della religione e specialista in geopolitica religiosa,
insegna all’università di Firenze e allo Studio teologico fiorentino, la
facoltà di teologia dell’Italia centrale. In questo sito ha già
pubblicato lo scorso 24 febbraio una nota sulla guerra, il pacifismo e la
Chiesa cattolica che ha avuto una straordinaria eco.
Le tesi di De Marco sono agli antipodi del cattolicesimo pacifista. Ma
sono ben radicate nella Chiesa. Sono dentro quel vasto orizzonte di
“fides et ratio” che il cardinale Joseph Ratzinger ha tracciato spiegando
il senso autentico della predicazione di pace di Giovanni Paolo II.
«Il papa – ha detto Ratzinger in un’intervista a “30 Giorni” di aprile –
non ha imposto la posizione [contro la guerra] come dottrina della
Chiesa, ma come appello di una coscienza illuminata dalla fede. [...] Si
tratta di una posizione di realismo cristiano che, senza dottrinalismi,
valuta i fattori della realtà avendo presente la dignità della persona
umana come valore altissimo da rispettare».
Ed è in nome di questo «realismo cristiano» che De Marco ha commentato, tra
gennaio ed aprile, gli sviluppi del conflitto in Iraq. Qui di seguito le
pagine del suo diario sono richiamate in ordine cronologico, con i link
ai testi integrali. Delle quattordici note, una è riportata intera, in
italiano e inglese, in questa stessa pagina web: è quella che riguarda la
discussa fede cristiana di George W. Bush.
Un’avvertenza. Alcune di queste pagine hanno già circolato come nuclei di
lettere, mai però rese pubbliche prima d’ora. E tutte mantengono la
stesura originale, senza correzioni ‘post eventum’.
4 gennaio 2003
BALDUCCI E CARDINI, LA STRANA COPPIA
Ormai la sete agonistica nel nostro mondo cattolico può tollerare ogni
incoerenza. Può coniugare padre Ernesto Balducci con Franco Cardini, e
Sergio Cofferati con Meister Eckhart, e San Francesco con Saddam Hussein:
non scherzo troppo. Pur di riempire vuoti emozionali e intellettuali...
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15 gennaio 2003
IL LUPO BUSH E L'AGNELLO SADDAM
Vedo sull'ultimo fascicolo di “Koinonia”, la vivace e letta rivistina dei
domenicani di Pistoia, l'infelice ragazzata della vignetta col lupo e
l’agnello della favola di Esopo, riferita a George W. Bush e a Saddam
Hussein...
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28 febbraio 2003
LA CHIESA DI ROMA E L'IMPERO DEMOCRATICO MONDIALE
L'effetto di “balance” che la Chiesa cattolica, Roma insomma, può
esercitare rispetto all'impero democratico mondiale è forse unico, non
fungibile da altre istanze o da altre chiese, in virtù proprio della sua
natura pubblica peculiare...
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7 marzo 2003
PRIMA DELLA GUERRA, SCENARI DI DOPOGUERRA
La rimozione e trasformazione del tassello iracheno nel sistema
mediorientale delle repubbliche autoritarie, e delle monarchie sotto
ricatto/tentazione jihadista vedrà anche la risoluzione del problema
israelo-palestinese, perché l'autorità palestinese e le formazioni
terroristiche non avranno più supporti politici e militari, dati finora
per impedire la pace...
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9 marzo 2003
IL RELIGIOSO BUSH, VERO REALISTA
In linea di principio, raccomanderei cautela nel ravvisare illusioni e
sogni dove aleggia una tensione religiosa, e senso di realtà ove si
alleano prudenza e calcolo concreto di interessi prossimi. Lo sguardo degli
Stati Uniti è, ora più che mai, di raggio mondiale. E la volontà e il
bisogno di invocare Dio non sono fatti, certamente, per sottrarre
globalità e precisione a quello sguardo...
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17 marzo 2003
LETTERA DI SCOMUNICA PER L'ERETICO DE MARCO
«Oltre ad auspicare per il docente un improbabile ravvedimento privato,
reputo necessario invitare credenti e non credenti a diffidare e ad
opporsi con ogni mezzo alla diffusione di un simile insegnamento che
disconosce qualsiasi connessione con il messaggio evangelico...»
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21 marzo 2003
L'EUROPA TOTALE DEL XXI SECOLO, ISLAM INCLUSO
Il livello più profondo, e forse oscuro, di questo sapere di realtà
posseduto ancora dagli stati europei, suggerisce che le Americhe sono
l'Europa, non nell'accezione di una propaggine o replicazione, ma di un
inveramento peculiare quanto inseparabile dell'origine...
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25 marzo 2003
UNA RELIGIONE CIVILE PER LA TERZA EUROPA
L'idea che direi squisitamente francese, di eredità gollista, ma diffusa
a Bruxelles e capace di permeare i quadri superiori dell’Unione, sembra
quella di una sprezzante competizione con gli americani nel governo del
mondo. Almeno sul terreno politico culturale, sui cui l'Europa sarebbe
superiore, anzi la sola dotata...
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30 marzo 2003
AZZARDI. LA PAURA PROFONDA DEI PACIFISTI
Domanda: qual è la cifra profonda dell'inedito universale orrore per una
guerra non inedita come l'attuale? La paura, che nel triangolo di pietà,
risentimento, ansia in cui si dispongono le forme del pacifismo diffuso,
è di gran lunga la nota dominante...
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2 aprile 2003
ANTICHE E NUOVE LEGITTIMAZIONI DELLA GUERRA
La pretesa stessa per cui ogni difficoltà incontrata dall'azione
angloamericana varrebbe come argomento contro di essa, mi conferma nella
diagnosi della deriva metastatica dell'ethos pubblico occidentale, per
cui l'azione buona e valida è quella che si sviluppa senza ostacoli né di
fatto né di principio...
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8 aprile 2003
I perché del disprezzo cattolico per la “religio” di Bush e di Blair
Ha solo parzialmente ragione Ernesto Galli della Loggia quando ricorda,
nel suo eccellente fondo di domenica 6 aprile sul “Corriere della Sera”,
che "è diventato arduo per noi europei accogliere un qualunque
discorso pubblico di tipo religioso", mentre "gli americani,
lungi dall'aver espulso Dio dal loro discorso pubblico, lo ritengono anzi
una fonte ispiratrice".
Questo è vero, ma ormai solo per quella parte dell'Europa e per quelle
generazioni e culture europee liberal-democratiche e separatistiche
(anche democratico cattoliche) che restano attestate sui modelli classici
di laicità.
Altrove, nel protestantesimo come nel cattolicesimo e oltre,
nell'ortodossia greca ad esempio, e in molti intellettuali e politici, e
nelle giovani generazioni non solo europee, la visione e la ricerca di
una pubblicità del religioso è pervasiva. Certo, in forme diverse. Altra
è la politicità capillare ‘more americano’ della diffusione e pressione
evangelicale; altra è la politicità di impianto e modello wojtyliano,
dalla milizia di movimento e di evangelizzazione degli anni Ottanta
(emancipatrice del mondo comunista) fino alla globale predicazione
giubilare recente.
Ma proprio la deprecazione della politicità pubblica del papa è scomparsa
dalle considerazioni progressiste. Improvvisamente il ‘papa politico’
appare ora legittimato, oltre che celebrato. Ed è, naturalmente, lo
stesso papa della richiesta del nome di Dio nella Costituzione europea,
della difesa della vita, il papa responsabile del tracollo del comunismo,
il papa di Fatima, il leader religioso fondamentalista e invasivo delle
coscienze e delle libertà laiche, per usare stereotipi.
L'attuale latenza della deprecazione laica non è, tuttavia, solo tattica.
In effetti l'opinione e la cultura politica ufficiale europea è attenta,
in maniera nuova, all'emergente rilevanza pubblica delle religioni. E
disposta a tollerarla sotto certe condizioni.
Così, il quadro è da tempo più complesso rispetto a quanto coglie Galli
della Loggia. E ancor più appare tale se si evita, con nuovo rigore
storiografico, di considerare la Chiesa cattolica come una vicenda
marginale o una eccezione entro la modernità europea. E se, al contrario,
si guarda alla Chiesa moderno-contemporanea, nella sua peculiare
'complexio' di modernità e antimodernità, come costitutiva d'Europa.
Naturalmente, qui conta e ci ammaestra il fallimento della prognosi della
privatizzazione del religioso. Sintomaticamente dominante, salvo
eccezioni, nella sociologia della religione, l'ha costretta a occuparsi
per decenni solo di quanto avveniva sull'incerto terreno delle opinioni
del credente come singolo - se ritenesse più grave il non pagare il
biglietto dell'autobus o l'avere rapporti prematrimoniali - come se tutto
questo fosse veramente importante. Nel frattempo però, da almeno un
quarto di secolo e in misura macroscopica, molte persone ed espressioni
delle religioni mondiali affermavano pubblicamente di ritenere un Dio, o
una Rivelazione, o una Scrittura, o un Magistero, o una Guida religiosa,
fonte ispiratrice non solo del cuore ma dell'azione, e di un'azione
'affermativa'.
Ma, se i profili di pubblicità ‘sui generis’ delle religioni non sono più
estranei al nostro apprezzamento, perché prevale in questo momento un
rifiuto delle culture cristiane a intendere come autenticamente religiose
(pur dissentendo, eventualmente) le posizioni dei leader George W. Bush e
Tony Blair impegnati nella guerra? Mi viene di sottolineare questa, tra
le diverse possibili diagnosi.
La “revanche de Dieu” è avvenuta e si è riprodotta culturalmente e
generazionalmente, nelle aree delle grandi Chiese (non così in quelle
dell'universo congregazionale), soprattutto sotto il segno del pathos per
l’’agàpe’ e la ‘diakonìa’, ovvero per l’amore e il servizio dell'altro.
Ma un tale pathos è senza bussola se trasportato nella dimensione
politica, ed è insidiosamente senza difese rispetto alle rappresentazioni
dualiste dell'umanità: da un lato gli uomini della carità e del servizio,
dall'altro gli uomini senza cuore del denaro e del dominio. Cosa vi può
essere di più semplice e più comodo da credere? Ho già scritto che una
tale metastasi religiosa dualista della realtà umana è anche l'ultima
spiaggia delle residue ideologie radicali, variamente neomarxiste, degli
anni Sessanta e Settanta. Un magma temibile.
Non è, dunque, solo la difficoltà laica ad intendere una dimensione
pubblica della fede che conduce alla sottovalutazione o al disprezzo per
la ‘religio’ di Bush o di Blair. Agisce in questo senso, ormai, anche una
competizione oggettiva tra diverse istanze e volontà di qualificazione
religiosa della sfera pubblica. In altri termini: a fianco del disprezzo
veteroeuropeo per la elementare ‘piety’ americana vi è il disprezzo
diffuso nelle grandi Chiese europee, nutrito di teologia moderna, ma
anche di residuale ideologia anticapitalistica (impasto più affine, però,
alla matrice dell'anticapitalismo di destra, e quindi anche portatore di
una inconfessata tensione anti-giudaica).
Non a caso i giudizi più impropri sulla devozione del presidente degli
Stati Uniti vengono da teologi cattolici formati nella stagione
conciliare: oscillanti tra ragioni di critica democratica progressista
(distinzione degli ordini naturale e soprannaturale; rifiuto laico di
nominare il nome di Dio; adesione etico politica ai valori della
modernità emancipatrice) e argomenti antifondamentalistici ‘ad hominem’.
Si può divenire, così, capaci anche di riutilizzi occasionali della
polemica antiprotestante, a dispetto di ogni conclamato ecumenismo.
Di più: da parte di molta intelligencija si colpisce ad alta voce in Bush
quella fede pubblicamente espressa nel proprio mandato che si è per anni
condannata copertamente nel Wojtyla evangelizzatore delle nazioni. Dove
sono ora quelli che disprezzavano la chiamata wojtyliana ai giovani, e la
loro “superficiale” risposta, in occasione della Giornata della gioventù
giubilare? Poiché una parte di quei giovani riempie le piazze e cementa
l'opinione pacifista anche delle generazioni adulte, l'ethos del papa
appare ora solido e promettente, e il suo magistero improvvisamente alto
e unico. E quella del papa diviene addirittura una visione “laica” contro
quella “apocalittica” di Bush, nonostante il Wojtyla della proclamazione
della pace sia lo stesso Wojtyla teologo della storia che medita sul
mistero di Fatima.
Mi chiedo se, per l'opinione ecclesiale cattolica, la possibilità di
squalificare, senza cantraddirsi, la ‘religio’ di Bush persegua una
rivalsa rispetto alla frustrante e invasiva penetrazione evangelicale
nelle cattolicità latinoamericane, e non solo. Eppure, proprio la
capacità d'azione delle fedi evangeliche portatrici di originarie istanze
di risveglio e missione dovrebbe imporre una riflessione più umile sui
limiti della dominante agapico-koinoniale in campo cattolico. La
costruzione personale dell'uomo di fede appare fragile sulle sole
fondamenta agapiche; il vangelo della carità senza avvertenza della
peculiarità della elezione cristiana non basta. E, nella sfera pubblica,
una educazione al servizio dell'Altro senza orizzonte di responsabilità
politica rischia di confermare un profilo del cristiano europeo capace,
sì, di carità interpersonale ma incapace (se non retoricamente) di
sollecitudine razionale per la giustizia e il diritto come capacità di
giudizio nelle crisi nazionali e internazionali.
Aggiungo un'osservazione. Capiterà di notare che i due fronti si
rivolgono in apparenza una stessa accusa, quella di avere una concezione
dualista o manichea, onirica e assoluta, della storia e dell'arena
mondiale. E, certamente, la componente etico religiosa della politica
americana può costantemente implicare una connotazione radicale e
salvifica della propria azione, come aveva argomentato profondamente Carl
Schmitt.
Ma Eric Voegelin ci aiuta a cogliere differenze essenziali. La religione
americana, proprio in quanto incorpora (tratto ben colto da Robert N.
Bellah) il modello biblico dell'Esodo e della Terra promessa, incorpora
anche la costante del peccato e dell'infedeltà al Patto. Include la
finitezza e la capacità di errare del popolo e dei suoi capi. Galli della
Loggia ha benissimo colto il significato discriminante della giornata di
preghiera negli Stati Uniti "per impetrare l'aiuto e la guida di Dio
al fine di meglio comprendere i nostri errori". Il nucleo utopico
implicito nel pacifismo è invece caratterizzato dall'attesa di una
condizione dell'uomo e del mondo riscattata dal peccato. E quindi, poiché
le idee hanno i loro automatismi, giustizia e diritto si validano solo nell'affermarsi
senza la forza, cioè senza il peccato. Ma in realtà questo non è
possibile. O lo è solo al soggetto utopico, in quanto dotato del vero
sapere sulla realtà, gnosticamente già esente da peccato anche quando
eserciti necessaria violenza.
Per questo le dualità simboliche tra bene e male espresse da una
democrazia a fondamento religioso (Voegelin direbbe: intrinsecamente
aperta alla trascendenza, quindi certa della propria finitezza e
colpabilità) sono spinta all'azione giusta, non ontologia gnostica. Mentre
le dualità utopiche implicano intrinsecamente l'impeccabilità dell'uomo
futuro e di coloro che ne anticipano l'avvento. Ma coniugare, ora per
ora, certezza della chiamata e senso del peccato è equilibrio cristiano.
10 aprile 2003
DOPO LA PRESA DI BAGHDAD. IPOTESI SULLA "GOVERNANCE"
La vera materia del nuovo confronto tra gli stati belligeranti e le
Nazioni Unite e l'Europa comunitaria è il nesso necessario tra la futura
partecipazione internazionale alla “governance” della complessità
irachena e il riconoscimento da parte di quegli stessi soggetti della
legittimità dell'operato americano e inglese...
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12 aprile 2003
SULLA MANCATA PRIVATIZZAZIONE DEL RELIGIOSO
Riprendo, per un attimo, la questione degli errori predittivi della
sociologia della religione; dei nostri vistosi errori. Avere inteso la
“privatizzazione” della religione come “invisibilizzazione” nella
modernità contemporanea risale ad una lettura tutta europea delle analisi
americane...
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17 aprile 2003
GUERRIGLIA ITALICA CONTRO POTENZA EGEMONE
Non sempre mi piace Altan. La coazione a dire qualcosa di sinistra
(quindi a farlo dire ai suoi personaggi) riduce molto la capacità della
sua satira. Ma la vignetta di mercoledì 16 aprile su “la Repubblica” è un
piccolo capolavoro: "E se attaccano anche la Siria?".
"Ricorriamo al T.A.R. del Lazio". La vignetta traccia in
compendio una perfetta immagine delle risorse, ma specialmente delle
culture, a confronto nella collisione tra Stati Uniti e progressismo
europeo, in particolare italiano. Il T.A.R. del Lazio è la metafora
stessa dell'efficacia della guerriglia (a supporto sindacale) della
nostra società civile contro gli atti di governo di ogni ordine e grado,
improvvidi o provvidi che siano. Via facile e successo spesso garantito,
non importa con quali effetti sociali e istituzionali. Ed è anche la
nostra visione del mondo. Geniale averla pensata come la spontanea
replica italica ai comportamenti della potenza egemone.
__________
In questo sito, altri testi di Pietro De Marco:
>
Dopo e oltre la marea pacifista. Un saggio di Pietro De Marco
(24.2.2003)
>
Inediti. La bozza De Marco per la pace tra Israele e Palestina
(30.10.2002)
__________
Sulla fede di George W. Bush:
>
Bush & Dio. Un rompicapo per la Chiesa d’Europa (8.4.2003)
__________
Sulla guerra in Iraq:
>
Bollettino di guerra. Le bombe carta dei pacifisti teologi
(31.3.2003)
>
Il dopoguerra secondo il cardinale Camillo Ruini (25.3.2003)
>
Guerra nel Golfo. Quello che il papa ha detto per davvero
(20.3.2003)
>
Europa provincia dell’islam? Il pericolo si chiama dhimmitudine
(17.3.2003)
>
Chiesa interventista. L’offensiva di pace di monsignor Migliore
(6.3.2003)
>
Prove di geopolitica cattolica. Come leggere il mondo dopo l’11 settembre
(3.3.2003)
>
“L'Osservatore Romano” e “Avvenire”. Le due voci discordi della Chiesa di
Roma (26.2.2003)
>
Da Assisi a Baghdad. Se questo è far pace (17.2.2003)
>
Teoria e pratica della guerra giusta. Nove documenti per capirne di più
(12.2.2003)
>
Islam contro Stati Uniti. Ma i musulmani sciiti fanno eccezione
(5.2.2003)
>
Iraq. Le ragioni tutte politiche del “no” della Chiesa alla guerra
(30.1.2003)
>
Intervista esclusiva con l’ambasciatore Nicholson: “Ecco i punti di
disaccordo tra Bush e il papa” (27.1.2003)
>
I tre enigmi di Giovanni Paolo II. Risolti dal suo cardinal vicario
(23.1.2003)
>
Guerra preventiva. I gesuiti del papa duellano con gli strateghi di Bush
(21.1.2003)
>
Iraq, Europa, Russia. I tre fronti caldi di Giovanni Paolo II
(13.1.2003)
>
La Chiesa e l’Iraq. Come spazzar via Saddam Hussein senza fargli guerra
(7.1.2003)
>
Saddam Hussein fa strage dei musulmani sciiti. Ma il Vaticano non vede
(27.11.2002)
>
Iraq. Anche il papa dà l’ultimatum a Saddam (18.9.2002)
|